Tutti i particolari in cronaca – poesie

 

 

TUTTI I PARTICOLARI IN CRONACA

perché la poesia a volte urla, piange, denuncia

_____________________________________________________________________

NON HO PIU’ VOCE PER VEDERE
(Pasqua 2018)

Fammi entrare
dentro la tua oscurità
riposami nelle pieghe del mondo
appartami in mute parole
vestimi di una preghiera stanca
riparami.

Non ho più voce per vedere
nè mani ad accompagnare
una figlia nel destino
ma solo un flauto
di tristezza e solitudine
tra le macerie di un sogno tradito.

 


GLI  SCOMODI

Gli scomodi
hanno ali annerite
dal gasolio benpensante
e gridano
attaccati al collo
di una bottiglia di birra
aperta
al confine del Cielo
mentre gli angeli
lampeggiano nel blu.

———————————————————————————————–

AMATRICE

Fiocchi di parole
cadono lente su Amatrice
è neve sporca
di promesse di sorrisi
che mutano nel ghiaccio
dell’indifferenza.

Il gregge non ha fretta
di essere condannato
a pascolare erba sintetica
finta come le parole
che ancora imbiancano
di grigio i monti.

Barcellona, alla radio, un furgone

 

 

E ti trovi alla coop
una spesa incastrata tra tante
un carrello di frutta e di birra.
E qualcuno ne parla
l’hanno detto alla radio
un furgone a Barcellona
proprio lì
perché lì
e ti guarda, lui ti guarda e non dice
e ripete sommesso
un furgone, Barcellona, alla radio.

È un fiume
un fiume di sangue
che passeggia tra gli urli
a zig zag, sulle Ramblas
di un giorno d’estate

Un furgone, Barcellona, alla radio
la Falce.

Gli artigli hanno lasciato
strisce di sangue
sul selciato della nostra vita.

 


Don’t clean up this blood

 

Don’t clean up this blood

Non pulire questo sangue
non c’è sapone a togliere
l’orrore del fango
martello che sfonda l’osso
le facce devastate
dall’odio e dalle botte

Non pulire questo sangue
è il tuo sangue, il nostro sangue
che ci farà sopravvivere
che ci dirà ancora una volta
se mai avessimo sbagliato
che sarà solo perché avevamo ragione

 _______________________________________________________________

i bambini siriani

 

Noi vogliamo bene ai bambini siriani.

Abbiamo armato i loro padri perché
li addormentassero sotto lenzuoli di macerie.

Abbiamo pagato l’Orco Erdogan perché
li tenesse a giocare nel fango dei campi profughi.

Adesso
li bombardiamo con missili di baci intelligenti.

Che uccidono tutti, anche la speranza.

……………………………………………………………………………………………………………………………………

 

Quanto costa una tonaca rossa?

Una sterlina di ricordi

mezzo rublo di pensieri

due dollari di ipocrisia

e quattro yuan di terrore

nel portafoglio vuoto piange la miseria

d’ una strada piena di facce arcobaleno

che ora vuota assiste al lento lavorio

di un carro armato colorato di cemento

 

a Rangoon come a Lhasa

i sandali insanguinati sono lo spot

delle olimpiadi della convenienza

dentro il braciere

in mezzo alle bandiere

la sacra torcia brucia la colomba

 

—————————————————————-

 

Il sabato del villaggio 2007

Carrozzerie contorte

tra le lamiere annerite

lenzuoli stesi a nuove assenze.

 

Il dolore ha la forma dell’urlo

e del pianto

solitario di un padre.

 

Domani leggeremo di una strage

annunciata  venerdì

dimenticata  lunedì

 

Nel mezzo, un sabato di sangue.

Alcuni fogli di verbale

restano sparsi sul selciato.

 


La primavera di Said

Il sole è gelido qui a Kandahar

il vento d’inverno

non vuole morire.

Sulla distesa di polvere e sassi

gracchiano gli echi dei corvi.

 

Lontana rintocca la Jihad.

 

Oggi fa freddo

a due passi da un sole

che non ha più occhi per riscaldare.

Un boia dalla barba santa

mi ha riempito di sabbia anche il cuore.

 

La mia testa galleggia sul fiume.

 

Lontano, lontano, lontano

in fondo alle terre lucenti

chissà se una donna riabbraccerà l’uomo

 

che era con me a primavera.

 

————————————————————

Faccia scura

 

La notte ha la faccia scura

di una luna fiammeggiante

 

Ha la faccia scura della morte

con l’odore di carne bruciata

 

Nell’autoradio di un coglione

scoppia una musica devastante

 

fatta apposta per coprire

per far finta ci sia ancora distanza

tra le rive affollate di uno stesso mare.

 

—————————————————————

‘68 (le porte aperte)

 

 

 

Avevamo un vestito solo

forse era per non perdersi di vista

sotto, ognuno era solo.

Non aprivamo mai tutte le porte.

 

Faceva freddo per le strade 

così era più caldo abbracciarsi.

O forse era più facile correre

inseguiti dai latrati fatti sirene

e dagli spruzzi di un idrante gigantesco.

 

E quando scappavamo, scappavamo 

forse più da noi stessi che da quei mostri.

Ma se lo facevamo, era per tenere le porte aperte,

per non lasciare che dentro ciascuna di quelle case

forse pulite, forse scivolose di cera,

qualcuno si sentisse prigioniero

delle pallide pareti della sua cameretta

 

All’aria aperta per le strade luccicanti 

urlavamo aprite, aprite le porte!

Ma troppo spesso

dall’altra parte dell’uscio

soltanto silenzio.

 

 

————————————————————

VentiCinqueAprile

Dimmi di quella notte

scolpita sulla canna del fucile

di un fazzoletto al collo

stretto come la fune nel cortile

 

Dimmi degli occhi di tua madre

delle preghiere e della rabbia

della disperazione

di quell’abbraccio stretto

 

Di quelle scarpe in più

che babbo non portava

dell’urla negli spari

delle camicie insanguinate

 

Di quel momento strano

quando nel fondo di due occhi

la nebbia dell’oblio

ti ha fatto sentire come un dio

 

Dei giorni senza notte

di notti senza luna

di grida e balli a fine

dell’ultima avventura

 

Ora che più non sei

e un bimbo ha il nome tuo

nell’anima del tempo

un sacerdote in clergyman

ci chiama a messa

senza saper più ricordare

 

da quale demone ci hai liberato.

 

———————————————————————-

IL LAVAVETRI

 

 

Chiamami Ahmed

oppure Abdul

o Mohammed Alì

 

per me invece resti

 

uno

tutto chiuso lì dentro

sguardo

sempre poco più avanti

dito

che fa il tergicristallo.

 

Voglio fare un affare con te:

per cinquanta centesimi

laverò dal tuo vetro

quegli spruzzi d’umanità

piovuti chissà come e perchè

da questo arido cielo di sole.

 

 

———————————————————————–

Nel nostro comodo senso di colpa

 

Mi piacerebbe parlarti di me

nell’alba che non cede mai al sole

di un autobus che non sa arrivare

di gente tutta intorno alla stazione

che dice di venire da lontano

senza sapere dove deve andare

 

Vorrei cantarti della mia paura

quando la casa torna a farsi sera

ed uno sguardo appiccicoso uccide

mutando in ghigno per la compagnia

seduta al bar con la bottiglia in mano

l’abbonamento della curva in tasca

 

Sulla spiaggia scura di Lampedusa

i granchi affollano scarpe disperse

tra i fiori appassiti il sindaco implora       

un dio di togliere l’acqua dal mare

che ci avvicina a quella Terra Nera

e al nostro comodo senso di colpa.  

 

 

————————————————————

se un dio c’è

(i bambini di Beslan)

 

 

se un dio c’è

e di questo non sarò mai certo

spero che sappia piangere come facciamo noi

al solo ricordo di quel che è successo

 

se un dio c’è

e avrei tanta voglia ci fosse davvero

vorrei fosse stato lontano, così lontano

da non aver sentito quelle urla straziate

 

se un dio c’è

e spero per lui che così non sia

gli chiederei il perché

senza aspettare risposta

 

vorrei solo ascoltare

un vento di piccole voci festose

giocare ancora con le foglie

dell’albero in cortile

 

intanto quaggiù

la nebbia cambia colore

e diventa più rossa

 

forse l’abbiamo davvero creato

per non doverci guardare allo specchio.

4 settembre 2005

per i bambini di Beslan

—————————————————————-

sono una pecora nera

 

Sono una pecora nera

la fuliggine

o il sole troppo forte

ha bruciato la mia pelle

 

Sono una pecora nera

di una notte senza stelle

perché il ladro dei gommoni

le ha portate via con sè

 

Sono una pecora nera

una faccia scavata

aggrappata alla vita

nelle rughe del buio

 

Sono una pecora nera

di fame e silenzio

alfabeto rovesciato

in un barile vuoto

 

 

lasciato

                a galleggiare

sulle onde

                  di un mare  

nero pece


L’uomo senza voce

( a Piergiorgio Welby)

 

Dall’abisso di un cuscino tormentato

una figura d’uomo senza voce

urla il diritto alla pietà nel suo dolore

 

Non è forse anche nostro quel diritto?

negato, vilipeso, manipolato

ci inchioda al ferro atroce del tormento

per non spostare il velo, per non mettere a nudo

la fede che non vede, che non sente, che non crede

 

Che impone e che dispone

si tratti di persone o di concetti

costringe all’obbedienza

o porta a ribellarsi non certo a un dio

ma a qualcuno che si è fatto

di lui da solo portavoce

massacrando chi non ha più voce.

 

Ora stracciatevi le vesti

sacerdoti del destino

sbracati compattatevi

sotto le insegne del diritto della vita

a non avere vita, a non avere che pianto

 

Forse è proprio di questo che c’è necessità

di una pena e di una colpa da espiare

per non lasciare all’uomo strade libere

per indicargli sempre la sola direzione

che sia comoda a voi, signori della stola

 

e faccia ancora a pezzi l’uomo e la sua storia

 

 


Ustica

 

Le facce pallide

di generali in pensione

ora sorridono

 

impettite stellette

si allontanano veloci

dalla scena del delitto

 

tra una valigia e una bambola

galleggia

nel mare sporco di Ustica

la verità

 

Albero Killer

 

La luce si fa scura in queste parti                                                      

è come un suono opaco e inconcludente

ti appare quando meno te l’aspetti

e non sorprende

quasi ammansisce.

 

Ti lascia prender mano sul volante

il piede pesta l’acceleratore

più giù, più giù, voglio vedere dove

finisce il fondo del bicchiere e ancora

più in là, dove la luna si arrovescia

e sembra una fetta di limone

persa nel Cuba Libre della notte.

 

Ti accoglierei a braccia aperte, amico

se solo avessi braccia anziché rami

e pancia dolce e morbida a cullarti

e non un tronco immobile e nodoso

 

Adesso tutti piangono il tuo nome

e un uomo ha preso a calci il mio destino

sbattuto “Albero killer!” sul giornale

 

Come se io potessi 

come se io volessi

-e sai che lo vorrei-

volare via con te.

 

…………………………………………………………………………………………………….