“La 22, grazie”
“…”
“Posso essere svegliato tra…sei ore, diciamo alle 14…sì, alle 14”
“Certo, signore, ha bisogno di altro?”
“Altro? No, no…grazie”
“Buon riposo allora, signor Locchi”
“Grazie…ah, sì. Per cortesia non mi faccia passare nessuna telefonata. Nessuna”
Ascensore
Corridoio
Luce, troppa.
Aghi negli occhi.
Porta
Camera
Bagno. Specchio. Non mi assomiglio.
Letto.
Letto.
Letto.
Sempre uguale. Tutto uguale.
Dai, chiudimi gli occhi, addormentami.
Magari sogno cosa è successo.
Se è successo.
Qualche anno fa.
Sono gli ottanta, baby…i tramonti tramontano
È il 1982. Una estate lunga lunga che sta per finire come fosse il tramonto a Baratti. Esplosione di colori sopra il tappeto azzurro. Mare blu che si fa cullare abbracciato dalle robuste braccia verdi della baia. Vele bianche delle barche del porticciolo che sembrano le mozzarelle della pizza del bar che se ne sta appoggiato sulla spiaggia del tramonto. Ho fatto il giro con lo sguardo e sono tornato qui. Al tramonto di Baratti, Toscana. Però in Italia non tramonta solo il sole.
Nel frattempo sono tramontati anche Pio La Torre, ucciso dalla mafia. Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso dalla mafia. Roberto Calvi assassinato a Londra in uno strano suicidio.
Uno del PCI, un generale dei carabinieri e un banchiere. Tutti miei ex nemici. Ora anche ex vivi. Non avrei mai pensato che sarebbero tutti tramontati così. Cambia alla svelta questa Italia. Cambiano anche i nemici e i colori dei nemici. Quelli di adesso sono i grigio topo del funzionario, i gialli accesi della Carrà, l’azzurro a scacchi dei paninari.
Nel mezzo, il bianco rosso e verde di Mick Jagger, avvolto nella bandiera italiana a Torino, mentre festeggia ruffiano la nazionale di Pertini, il migliore allenatore dell’Italia di tutti i tempi. Abbiamo vinto il campionato del mondo. Abbiamo? Hanno. Io no. Non partecipo. Odio i cori e i riti di massa, le macchine che urlano, i vestiti tricolore col clackson e gli occhi a palla. Una palla a scacchi bianchi e neri.
Tramonti, tramontati, ruffiani e invasati. Bella l’Italia, non c’è che dire. Se questo è il tramonto, lo lascio ai poeti e mi tengo la notte.
Capitolo 1 – Genesi di una Fuga
Firenze e gli anni ’80. Non ho neanche trent’anni e ho già capito che non lo cambieremo, questo groviglio di tormenti, interessi, sentimenti e bisogni, dove ci hanno condannato a vivere. Mi sono inventato “compagno dj”, poi “compagno organizzatore”, alla fine ho levato il compagno e mi è rimasto un lavoro da inventare. Invece di ripararmi dentro il branco, me ne sono andato via. A me il branco fa afa. Ora capisco perché non ero comunista. Credevo d’esserlo, ma proprio non lo ero.
Non ero comunista. A mia insaputa.
E nemmeno socialista, craxiano, affamato di potere e di protagonismo. Questo invece me lo hanno spiegato gli altri, i craxiani veri. Quelli che mi hanno sbattuto fuori, anzi manco mi ci hanno fatto entrare nelle stanze che contano. Visto che ho scoperto di non essere socialista e nemmeno comunista, ho pensato bene di diventare apolitico e di farmi i cazzi miei facendo il promoter alternativo al Tenax. Però questo posto cambia troppo in fretta per i miei gusti. Quando lo abbiamo aperto noi di Controradio, lo abbiamo chiamato una “non discoteca”. Poi è arrivato Massobello, ci ha salvato dal fallimento spiegandoci che invece era proprio una “discoteca”. Diversa. Ma pur sempre una discoteca. Della serie si entra si paga si beve si balla. Stop. Come la vita. A me questa visione proprio non piace. Quindi me ne vado. Però faccio come se il Tenax fosse la casa di mia mamma. Vado via, ma torno. Torno a portare spettacoli, quelli che mi vado a prendere a Londra e che venderò a giro per l’Italia in joint-venture con Muzio Caracollo, il mio socio veneziano, un partner ideale. Vive in un’isola, ha gli occhi umidi e l’acqua in testa, un’adorabile mogliettina e una ambizione smodata a diventare Uno che Conta nello Show Biz. Non riesce a tenere 10.000 lire in mano senza averne già spese 20.000, parla male l’italiano e bene l’inglese. Praticamente il mio opposto. Siamo un’unità da combattimento perfetta. Ci mancano solo soldi, uffici e potere, ma questi sono dettagli ai quali provvederemo in seguito. Intanto siamo partiti e nessuno ci fermerà. La nostra ditta si chiama Music Makers. “Costruttori di Musica”. Mica di mobili, come quelli del caro Massobello. Di Musica! Quella che muove l’anima e migliora il mondo, una mia vecchia fissa. Però intanto migliora il saldo del conto corrente. Una nuova fissa. Abbiamo cominciato con quegli smandrappati dei Virgin Prunes e siamo ancora vivi. Ottimo inizio.
Però Muzio ha il vizio. Non si droga, no. Al massimo si beve dodici orange vodka di fila facendoseli portare in camera dal room’s service dell’hotel. Non è questo il vizio di Mizio. No. E neanche quello di dimenticarsi la strada di casa dopo essersi aggrappato alle calze a rete della dominatrice di turno. No. Muzio ha il vizio di dire sempre sì. Anzi di dire sempre YES. Ogni telefonata che sappia di british è una cantilena …oh YES, of course, absolutely…YES! Dopodiché la palla passa a me. Prima di tutto devo capire che tipo di gruppo ha comprato. Capita di tutto. Dai Sex Gang Children agli X (la band con il nome più corto di tutte). Da Loyd Cole and the Commotions ai Lords of New Church. Non vi fate ingannare dai nomi. Sono molto peggio e molto meglio di quanto possiate immaginare. Della serie chi li conosce non li evita, ma trovare qualcuno che sappia di cosa sto parlando al telefono mentre declamo il nostro roster (un elenco sterminato di gruppetti semisconosciuti che pascolano nelle viuzze umide di Londra e dintorni) è una vera impresa. Se poi riesco a piazzarli, la cosa si complica. Già, perché anche se i british hanno le pezze al culo, state pur tranquilli che dall’altra parte del telex c’è un agente diafano e tossico che snocciola olive scaccolandosi annoiato e che ha un unico compito. Ricevere il 100% in advance, che da lui vuol dire “pochi maledetti e subito”. Sennò gli smandrappati di Brixton manco prendono l’underground, figurati the airplane. Quindi i miei adorabili promoter italiani devono sganciare l’anticipo. Che di solito equivale a quanto devo mandare su a Londra. Poi devo comprare i voli, fissare l’impianto e il gioco non è fatto ma almeno inizia. E siccome i soldi arrivano solo se te li vai a prendere, tocca a me farmi tutta l’Italia lunga e larga quant’è.
Per farlo ho chiesto in prestito a Massobello una Fiat 131 mirafiori diesel. Credo che l’abbiano chiamata così perché a 132 km/ora non ci arriva neanche in discesa. Consuma poco ma ci mette una vita. Eccola li, sotto l’ufficio. Oddio, ufficio. Diciamo che è una stanza, anche quella presa in prestito. Sotto ci stanno quelli dell’impianto di amplificazione. Sopra ci siamo noi. Quando provano se le casse funzionano, inutile cercare di lavorare.
Noi chi? Io sono Daniele detto il Locchi, quello di ControRadio, del Tenax e dell’aria incazzata. Se non vesto nero, sono grigio fumo. Occhiali neri. Baffi e capelli castani. Ingrucciato. Fisico non pervenuto. Mica conta. Conta lo spirito e l’occhio. Vigile, per scansare i pericoli sempre in agguato.
Poi c’è Ricky. Quando c’è. A volte arriva, con la sua alfa sud color aragosta. Non si sa se sia stato lui a sceglierla o lei a impossessarsi della sua anima. È arrivato un giorno con quella cosa e mi ha detto “così faccio prima a fare il giro delle prevendite”. Boh. Sembra un ragionierino tutto bello preciso, formato famiglia in beige, pettinato, profumato, amante della buona musica – meglio se jazz – a basso volume. Quando quelli provano l’impianto, lui si aggiusta i calzini a quadri, si mette la giacchetta con i rinforzi ai gomiti e se ne va a prendere un caffè. Lungo. Anche mezz’ora, pur di scansare i decibel. Ma che ci fa qui? Ah già, è un mio amico. Ci si frequenta dalla radio, dal Casablanca, dal Tenax. Insomma ci si conosce da una vita e gli amici mica si abbandonano per una manciata di decibel distorti!
Il Civetta invece c’era, ma adesso non c’è più. È rimasto dentro il Tenax; dicono che tra una canna e l’altra faccia il tuttofare. Un rompicapo psichedelico, ma tanto là dentro, dove imperano Gimmy Tranquillo e Frankie Marmo a inchiavardare l’antro nero di improbabili allestimenti e di vetrine umane, uno come lui ci sguazza. Mai visto un posto più improbabile, dove tutto si confonde, il dark fa l’occhiolino al surf, il trendy balla con il paninaro, la drag queen si struscia all’impiegato ancora in giacca e cravatta. E il Civetta, ultimo baluardo della notte che non finisce, neanche quando il giorno buca gli occhi e le macchine sembrano formiche impazzite che hanno perso il formicaio, resta lì. A disposizione di tutti, con i suoi sorrisi aperti e le labbra chiuse sulla solita, ultima (ma solo in ordine di tempo, eh), canna da accendere.
Ma anche se il Civetta ci ha lasciato, nessuno potrà fermare la nostra Invincibile Armada salpata alla conquista degli Oceani dello ShowBiz, dove imperano le correnti del Rock, del Jazz, del Hip Hop e perfino della Dance. Che non è la Disco, ma serve a ballare lo stesso senza essere così squalificata e borghese.
Già… “borghese”.
Ogni tanto mi torna in mente qualche parola del passato. Come era facile allora. Il nemico era davanti, magari dietro a quell’idrante gigante che spruzzava acqua fascista da ogni dove, sopra le camionette che ululavano rabbia e roteavano manganelli da sotto i baschi neri, dietro le facce astiose dei vecchietti benpensanti o dei professori di destra, quelli dagli sguardi biancoscudati e le mani giunte. E anche tu gli eri davanti, con i manici di picconi mascherati da aste di bandiere, le fionde ed i bulloni nella tasca interna dell’eskimo, i passamontagna che facevano finta di fare i cappellini per il freddo e le compagne con le molotov nelle borse. Oppure con il “Processo Valpreda” sotto braccio, da lasciare in bella mostra sulla cattedra prima che la campanella avvertisse dell’inutile arrivo del prof di turno.
Oggi, no. Il nemico non è più lì davanti. Ce lo hai a fianco. Sei tu allo specchio, che ti guardi e ti dici “chi se ne frega” di tutto, del mondo, della tua città, della vita. Che hai scambiato la Notte per il rifugio e il Nero per una bandiera. E come te, ne trovi tanti. Con il sorriso perduto nella giacca e il vademecum dello yuppie negli occhi. Adesso c’è solo un nemico. La tua sconfitta. Ora conta sopravvivere, anzi vivere sopra. Sopra i princìpi, sopra le righe di coca, sopra i limiti imposti dalle regole della convivenza. Io non convivo. Io vivo. Con il deserto, con il buio, con la musica a tutto fuoco che mi fa uscire dal nulla e mi ricorda che ci sono. E che posso vivere alla grande, nel Regno della Musica e dello Spettacolo.
Oddio, per ora proprio alla grande non ci arrivo, ma l’orizzonte è radioso e presto arriverà il sole dell’Avvenire. Almeno qualcosa dalla grande sconfitta sono riuscito a salvare. La speranza di un mondo migliore. Se non per tutti, almeno per me. Io all’Autostrade a contare i biglietti non ci voglio tornare. Voglio essere libero, libero come un tuono, libero come un suono.