TORTORELLA, LA MASCHERINA E SANTO SPIRITO.
Tortorella si sveglia tutti i giorni alle 5.17. Se fosse un uomo “normale” magari si domanderebbe il perché di quelle diciassette. Ma gli uomini “normali” spesso si fanno domande che non servono a molto. Quindi lui non se le fa. Si sveglia, si tira su a fatica, va in bagno, poi in cucina, si prepara una bella colazione fatta di biscottate sbriciolate e cortecce di arance, se la gusta in sala da pranzo e poi va in camera, fa il letto, torna in bagno si fa doccia e barba e se ne va. Tutto nei 20 metri quadri del suo loculo di borgo san frediano, che ha trovato perfettamente arredato una decina di anni fa. Quando ancora le case le davano in affitto, prima della Crisi del Virus. Ha pagato per un paio di mesi, poi il Grande Crollo ha spazzato il mondo. Proprietari inclusi. Meglio così, si dice tutte le mattine alle 5.18. Senza lo stipendio da cameriere, come lo avrebbe potuto pagare? Da quel tempo, vince chi c’entra. E cambia il lucchetto alla porta.
Ma ora è tempo di uscire ed andare a lavorare.
Il suo uscio coincide con l’inizio di un tunnel, una rampa per disabili unta dalla morchia del motore del riscaldamento condominiale posizionato appena sopra la sua testa. Si aggrappa alla ringhiera laterale bollente con i guanti da forno che gli hanno dato a mo’ di TFR il giorno del rogo della pizzeria, frutto dell’ultimo gesto d’amore disperato di Tonino Pastafresca che si lasciò bruciare vivo incatenato alla friggitrice. Guadagna a fatica la porta di uscita dell’edificio che dà sulla strada. Afferra la maniglia infuocata la gira in giù ed esce.
L’aria fresca lo prende alla gola come fosse la mano di Tenaglia. Non lo sopporta proprio, quel tipo. Per andare a lavoro deve per forza passargli davanti alla vetrina dello studio, quella dove prima dondolavano in bella mostra prosciutti e cotechini. E ogni volta lo vede seduto tutto tronfio alla scrivania della sua agenzia di runner usa e getta. Nonostante le denunce di qualche ex sindacalista che ha rifiutato di riciclarsi in Navigator, la premiata ditta Paga&Arriva prospera indisturbata. Il bassissimo prezzo della pizza consegnata a domicilio fa passare in secondo ordine la diceria che a nessun cliente sia mai stata portata una pizza dallo stesso runner. Un euro in meno della concorrenza, il prezzo esatto della coscienza.
Ma Tortorello oggi ha fretta, lascia i pensieri sul marciapiede stretto e scalcinato della via e si affretta a raggiungere Piazza Santo Spirito. Non ha molto tempo, la spazzatrice della Quadrifoglio di solito arriva alle 6 a ripulire il selciato e le aiuole dei detriti dell’ennesimo aperisabba. È arrivato. Prima di cominciare, si piazza proprio in mezzo alla piazza, con le spalle alla fontana di plastica con i getti di amuchina che ha sostituito la precedente fontana in acqua ed ossa, e fissa per alcuni interminabili minuti, che per lui sono minuscoli attimi, la facciata della chiesa. Guarda le meraviglie del rosone, la perfetta e asciutta simmetria delle porte, la croce che sovrasta il frontone e piange. Lo fa in silenzio, senza alcuna idea sul motivo che lascia a quelle lacrime il compito di disegnargli le rughe del viso. Forse, il suo modo di pregare. Forse, una tristezza profonda, che lo avvolge come la solitudine che imbavaglia tutta la città ormai da anni.
Si scuote. Sono le 5.37. Bisogna muoversi. Tira fuori dalla borsona i suoi strumenti di lavoro. Un lungo bastone di ferro a tre punte e un paio di sacchi neri della nettezza formato condominio. Obbiettivo. Raccogliere tutte le mascherine chirurgiche usate e gettate dal popolo dell’aperisabba, l’appuntamento quotidiano degli irriducibili dell’intera città che avviene tutte le sere in barba all’Editto dell’Assembramento, tollerato dal Comitato di Controllo Epidemico per dare sfogo a quelle tendenze trasgressive che altrimenti potrebbero indirizzarsi verso obiettivi sensibili, come raccomandato dal Dipartimento Psicologico del Consiglio dei Ministri Tecnico Scientifici.
Tortorella si mette in azione. Nel suo campo, è un fulmine di guerra. Nel giro di un quarto d’ora, ha ripulito la piazza e ha riempito fino all’orlo i due sacchi.
Se ne torna a casa, strascicandoli per terra, non tanto per il loro debole peso, quanto per fare quel minimo di rumore che basti a svegliare dal letargo il resto del mondo. È il suo modo di protestare per quel tormento di sopravvivenza che sembra non avere più fine. Qualche insulto arriva dalle finestre, pane per uno che non regge i falsi perbenismi e le giaculatorie dei convenevoli. Meglio una offesa urlata in faccia, di una mascherina che ti sorride come fosse paresi.
Ripassa davanti a Tenaglia, che lo squadra dal vetro come volesse cucinarselo in umido. È odio puro, manifesto, minaccioso, quello che trapassa in entrambe le direzioni il vetro umido dell’ufficio.
Prima o poi il ferro a tre punte troverà la sua destinazione finale. O forse quelle mani di pietra ridurranno il suo collo ad un fumetto. Prima o poi. Oggi è ancora poi, il lavoro pressa e non è ancora giunto il momento della resa dei conti. Chissà, magari quel ferro lo sbudellerà così potrà vedere se è vera la diceria del Cannibale dalle mani di pietra.
Lo lascia al suo momentaneo destino di massacratore di motorini umani e fa ritorno al mini loculo, strusciando i piedi sulla rampa in modo da mitigare con l’attrito la velocità prodotta da quel piano inclinato unto di morchia.
Entra, va alla vasca e ci rovescia il prezioso carico di mascherine accartocciate e sporche. Riusate e gettate. Apre il rubinetto ed aggiunge al carico di cloro immesso giornalmente nell’acqua non potabile un chilo di candeggina ad alta concentrazione. Passa il carico sotto la mitragliata del getto forte della doccia e lascia che il liquido saponoso passi la griglia posta sopra il fondo vasca e se ne vada a far danni al lungomare di Marina di Pisa.
Un altro, ennesimo passaggio e il gioco è fatto. Tortorella guarda soddisfatto il carico di mascherine sanificate che se ne stanno appoggiare sopra la rete. Le raccoglie in un cesto e le butta nell’asciugatrice che se ne sta sotto il lavandino. Tempo pochi minuti e saranno pronte per essere consegnate ai tagiki che controllano il contrabbando delle riusa e rigetta. Non è molto onesto, come lavoro, ma qualcosa si deve pure fare, per campare.
Ma non è questo il suo vero obbiettivo. Le mascherine servono per sopravvivere. Ma per vivere serve altro. Quello che è rimasto sulla griglia del fondo vasca. Una bella paranza di merce rara, che non ha mai pensato di poter vendere. Centinaia di pezzi al giorno, che ripone con cura in una borsa rossa e capiente. Deve affrettarsi. Tra poco apre la scuola di via de Serragli. Esce di nuovo, cammina veloce e dopo un po’ di passi , arriva e si piazza di lato all’ingresso. Apre il banchino che è solito lasciare appoggiato accanto al portone, assicurato ad una grossa catena.
Pone con attenzione sopra la sua mercanzia. Che ha una grande differenza da tutte le altre in commercio. Non si vende. La offre gratuita a tutti i bambini. Ha finito di montare la mise en place. Appena in tempo; i primi stanno già arrivando, con gli zainetti alle spalle e le mascherine multicolor in viso. Saranno loro a scegliere il sorriso che più gli piace. Uno per ogni bambino. Non ha paura che finiscano. Anche perché i sorrisi, non si usano e non si gettano. Si donano, e la speranza torna a scaldare i piccoli cuori